E’ davvero utile assegnare i compiti a casa?

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In uno studio recente sui compiti scolastici (Lucangeli, 2017), è emerso che il 67% dei genitori e delle famiglie dichiara di viverli con stress molto intenso, in particolare se gli alunni affrontano il passaggio tra ordini di scuole diverse (in particolare nel passaggio dalle elementari alle medie). Per fortuna tali indici ci dicono, anche, che per il 33% delle famiglie intervistaste i compiti rappresentano un impegno a giusto carico.

La risposta a questo dilemma, che ha coinvolto tutti noi nel periodo scolastico, è abbastanza intuitivo ma difficile da mettere in pratica: l’ideale sarebbe riuscire a bilanciare al meglio il giusto carico sia in termini quantitativi che qualitativi.

A questo proposito è utile ricordare gli studi di Psicologia Cognitiva che hanno dimostrato la necessità di esercitare i meccanismi dell’apprendimento per stabilizzare e facilitare il recupero delle conoscenze acquisite ma superare un certo numero di ore di studio è inutile e rischioso, in quanto si ha un sovraccarico cognitivo, rendendolo incapace di recepire nuove cose il giorno seguente. Quanto detto, non solo contribuisce alla riduzione della motivazione all’impegno, bensì genera un circolo vizioso in cui il bambino “fa tanto per fare” o peggio ancora “fa per paura delle conseguenze”, causando un’impotenza appresa ed una bassa autoefficacia rispetto ai compiti ed al sé scolastico.

Inoltre, quando il carico dei compiti è eccessivo, l’alunno può avere un apprendimento di breve durata che lo rende incapace di recepire nuove cose il giorno seguente e lo mette in crisi rispetto a quanto si sentirà efficace e abile come studente (De Beni, 2000).

 

Dunque, quali e quanti compiti?

L’esercizio a casa o lo studio servono a produrre conoscenze più stabili che la scuola trasmette rendendo più semplice all’alunno la memorizzazione e la riflessione su quanto appreso a scuola.

Demandare ai compiti a casa ciò che la scuola deve insegnare è l’errore maggioresia per i limiti che comporta verso l’apprendimento stesso che per i limiti motivazionali a sentire il continuum educativo tra famiglia e scuola. E in ogni caso la mole di lavoro assegnato a casa deve essere commisurata all’età e al tempo già dedicato alla scuola.

La dott.ssa Lucangeli, esperta in Psicopatologia dell’ Apprendimento, afferma a riguardo: “non importa la qualità e la quantità dei contenuti per fare un bravo insegnante, ma la qualità dei metodi di trasmissione del sapere” e questo potrebbe essere un buono sprono per gli insegnanti che sono portati a un compito così delicato.

Rispetto ai genitori di seguito alcune buone pratiche da adottare:

  • Bisogna far sentire ai bambini/ragazzi che si è dalla loro parte, ma sempre in linea, in sinergia con la scuola. Occorre star loro vicino, senza sostituirsi, si deve partecipare riconoscendone l’impegno e gratificandoli quando riescono nel loro lavoro (Lucangeli, 2017);
  • Lasciarli soli in una stanza a studiare non è consigliato, ma è altrettanto sostituirsi a loro nel fare i compiti: è necessario stare vicino a loro, partecipando e riconoscendone l’impegno nonché gratificandoli quando riescono (Lucangeli, 2017);
  • Incoraggiare il proprio figlio a farcela, poiché in questo modo si ottiene sempre il meglio da ciascuno, qualunque sia la difficoltà da affrontare. E’ quello che gli esperti chiamano «carezza educativa»: il riconoscimento dell’impegno e delle competenze acquisite dal bambino ne amplifica la capacità ricettiva e la motivazione alla fatica dell’apprendere (Lucangeli, 2017).

 

Riferimenti bibliografici:

  • Motivazione e apprendimento,  Angelica Moè, Rossana De Beni, Il Mulino, 2000;
  • L’esperta: troppi compiti ai bambini fanno male, Panorama, 2017.

 

Dott.ssa Denise Scialoia

Psicologa Psicoterapeuta

Specializzata in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale

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