Gli Odiatori: cosa sono gli Haters del web e come difendersi

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Haters letteralmente significa “odiatori” o “odianti” e ci si riferisce ad un fenomeno sociale emerso tramite i social media. Prima di internet non esisteva. Hater dunque è un termine usato in Internet per indicare gli utenti che generalmente disprezzano, diffamano o criticano distruttivamente una persona, un lavoro o un concetto in particolare.Gli psicologi attribuiscono questo fenomeno all’effetto di disibinizione del web, dove fattori come anonimato, invisibilità e comunicazione non in tempo reale tirano fuori il peggio dalle persone. Persone che hanno trasformato il web in una fogna di ostilità e violenza. I social media, e in particolare i social network, hanno involontariamente promosso l’insorgenza e la diffusione su larga scala di comportamenti negativi e distruttivi, definiti “aggressioni elettroniche” (David-Ferdon e Hertz, 2007), ovvero comportamenti aggressivi messi in atto attraverso l’uso mediato delle tecnologie.

Quello dell’hate speech,  la spirale di insulti che si autoalimentano ed infestano Internet, è diventato un fenomeno poco governabile. Peggio: un’abitudine che ha a che fare non solo con il mondo dei ragazzi, vedi i casi di cyberbullismo, ma anche con quello degli adulti.

Al giorno d’oggi sono state identificate due forme principali di aggressione elettronica che si distinguono per la presenza o l’assenza di una o più vittime specifiche. Nel primo caso, in cui le aggressioni sono rivolte a una persona o a una minoranza, si tratta di molestie online, atte a ferire le vittime prescelte. All’interno di questa categoria, la forma più diffusa di aggressione è il cyberbullismo, un comportamento aggressivo, ripetuto e sistematico, rivolto a una persona specifica e perpetrato tramite gli strumenti dei nuovi media (Hinduja e Patchin, 2008; Slonje e Smith, 2008; Smith et al., 2008; Smith, Mahdavi, Carvalho, e Tippett, 2006). Il cyberbullismo è una forma di bullismo a tutti gli effetti, in cui l’aggressione alla persona o alle persone a cui è diretta avviene attraverso l’uso di device tecnologici e delle loro funzioni, come instant messaging, commenti online o email. Gli aspetti più critici di questa forma di bullismo sono la rapidità e la globalità della diffusione su larga scala: grazie all’utilizzo dei media, i contenuti dell’aggressione sono in grado di arrivare in breve tempo a un ampio numero di persone, rendendo questa complicata da arginare e da gestire a livello personale.

All’interno del mondo online, le persone tendono a dire o fare cose in modo più aperto, disinibito e intenso rispetto a come le direbbero nel contesto di interazioni faccia a faccia. Questo fenomeno è stato definito effetto di disinibizione online (Suler, 2004). Alla base dell’effetto di disinibizione vi sarebbe la natura stessa del cyber spazio, caratterizzato da:

  • anonimità dissociativa: a differenza della comunicazione diretta, la comunicazione mediata da uno strumento offre alle persone l’opportunità di sperimentare una separazione e distinzione delle loro azioni online dal loro abituale stile di vita e dalla loro vera identità.
  • invisibilità: il fatto che nel mondo online le persone non possano vedersi l’un l’altra contribuisce ad aumentare l’effetto di disinibizione dando il coraggio agli utenti di esplorare luoghi o fare cose che altrimenti non farebbero.
  • asincronia: nella comunicazione online manca spesso la sincronia comunicativa, e gli scambi non sono in tempo reale. Il fatto di non dover far fronte alla reazione istantanea dell’altra persona contribuisce all’effetto di disinibizione. Infatti, se l’utente non ha modo di vedere la reazione dell’interlocutore e di adattare la propria comunicazione di conseguenza può essere portato a persistere nella strategia comunicativa in atto, anche e soprattutto nei casi in cui questa è lesiva, magari più di quanto inizialmente preventivato.
  • immaginazione dissociativa: l’opportunità data dal mondo online di dissociarsi, combinata alla possibilità di creare un proprio personaggio in parte (o totalmente) immaginario, amplifica l’effetto di disinibizione, poiché le persone consciamente o inconsciamente collocano questo personaggio in un altro spazio separato e distinto da quello della vita reale, uno spazio in cui le conseguenze delle proprie azioni sono concepite (spesso erroneamente) come meno intense e potenzialmente problematiche.
  • minimizzazione dell’autorità: la mancanza di indizi non verbali riduce l’effetto di norme sociali le quali, nel mondo reale, contribuiscono a regolare il comportamento. Per esempio, gli utenti non sono portati a riconoscere l’autorità degli altri (di solito comunicata tramite indici sociali e non verbali, come la postura o l’abbigliamento) e di conseguenza non regolano il loro comportamento come farebbero se la conversazione si sviluppasse in contesto non mediato.

Le motivazioni degli haters

Sebbene le classiche annotazioni di Suler aiutino a comprendere il contesto online e come esso faciliti l’emergenza di comportamenti di solito inammissibili nella comunicazione faccia a faccia, ancora non ci permettono di fare passi avanti nella comprensione psicologica del fenomeno hater. In altre parole la domanda che sorge spontanea è: perché si diventa un hater? In uno studio condotto da Shachaf e Hara nel 2010 (Shachaf e Hara, 2010), gli autori hanno identificato come giustificazione dei comportamenti aggressivi esperienze quali la noia, oppure obiettivi come la ricerca di attenzione, la vendetta, il piacere e il desiderio di fare un danno alla comunità, in relazione alla quale gli haters si percepiscono come outsider o addirittura come oppositori. Non è da escludere tuttavia che il comportamento aggressivo online sia anche legato ai tratti di personalità degli haters stessi. In uno studio online del 2014, Buckels e colleghi (Buckels, Trapnell, e Paulhus, 2014) hanno intervistato 1215 soggetti esaminando i loro profili di personalità e il loro stile comunicativo su internet. In generale i ricercatori hanno trovato una correlazione positiva tra i tratti di personalità narcisista e machiavellica, tratti psicopatici, personalità antisociale e personalità sadica. In particolare, l’associazione più forte che è emersa da questo studio è quella tra l’utilizzo di commenti negativi, distruttivi e i tratti di personalità sadica.

I comportamenti negativi online verrebbero quindi messi in atto per il puro piacere di farlo e il fenomeno andrebbe letto come una manifestazione quotidiana online dei tratti sadici che le persone tendono a non esprimere nella vita reale. Coerentemente, dalla ricerca di Craker e March (2016) risulta che l’outcome principale ricercato dagli haters è la “potenza sociale negativa” o la sensazione di sentirsi potenti risultante dall’aver arrecato danno ad altri. Il legame tra questi comportamenti  e i tratti di personalità cosiddetti “oscuri” (psicopatia, narcisismo e machiavellismo) emerge anche da altri studi recenti (Lopes e Yu, 2017), i quali aggiungono però alcuni particolari importanti. Il tratto di psicopatia risulta quello maggiormente correlato a tali comportamenti, ma allo stesso tempo anche a caratteristiche vittimologiche specifiche. Diversamente da bulli e cyberbulli, gli haters psicopatici, che si focalizzano comunque su un range relativamente limitato di persone da infastidire, tendono a preferire vittime che percepiscono come popolari, attraenti, di successo; infatti, persone deboli o impopolari sono più facili da manipolare per i propri fini (comportamento comune anche al tratto machiavellico), ma non rappresentano una sfida interessante per gli psicopatici, i quali sono interessati non solo ad attaccare la vittima ma anche ad umiliarla pubblicamente di fronte ai follower che la apprezzano.

L’odio dell’hater è generato da dei sentimenti simili alla gelosia e all’invidia.
Un hater tende a seguire costantemente le attività del personaggio pubblico che odia.Come ha detto ad un suo corso Frank Pucelik quando invidiamo qualcuno è perché il suo successo, grande o piccolo che sia, ci pone di fronte alla nostra mediocrità, e noi odiamo questa sensazione.

Cosa fare?

Per questi casi vale la strategia riassunta dal noto adagio “don’t feed the troll” in italiano “non dar da mangiare al troll”; se l’hater viene ignorato, e i destinatari delle offese non rispondono ai suoi attacchi, tende ad annoiarsi e ad abbandonare il contesto online dove sta cercando di creare confusione.
D’altro canto, la relazione predittiva e correlazionale individuata in letteratura tra questi comportamenti e i tratti di personalità antisociali mette in luce che, in alcuni rari casi,comportamenti insistenti di trolling e hating possono essere indice di intenzioni dannose, antisociali e fisicamente aggressive che rispecchiano personalità disturbate e inimicizie intense.

Lien, nel suo documentario, ha identificato una sola caratteristica che accomuna gli hater. Sono diversi fra loro per età, classe sociale, genere, gusti, nazionalità e religione. Si distribuiscono geograficamente in modo più o meno omogeneo ,ma sono tutte persone sole, insoddisfatte, irrisolte, non realizzate, con tratti depressivi.

L’odiante ha un atteggiamento che impedisce il confronto e genera solitudine. Talvolta non sono completamente soli ma appartengono a piccoli ristretti gruppi di persone che dicono e pensano le stesse cose. Contaminandosi con le loro visioni pessimistiche del mondo e dell’umanità.

La triade cognitiva del pensiero depressivo ha queste tre caratteristiche:

  • il mondo non è ok
  • gli altri non sono ok
  • io non sono ok

L’hater ha le prime due e il suo ego lo porta a pensare che lui è la sola persona ok che esiste, o una delle pochissime. In altre parole questo atteggiamento, sebbene lo renda solo o “male accompagnato” lo salva da una inevitabile depressione.

La depressione è insostenibile . Le persone che cercano di sfuggirvi in questo modo continueranno a preferire l’odio alla depressione. Ma è un giochino che non può durare all’infinito, arriva sempre un momento in cui l’infelicità in cui viviamo si rivolgerà contro noi stessi se non facciamo qualcosa.

Una sottolineatura ironica per gli odiati: “Quando cominci ad avere haters, significa che hai iniziato ad avere successo!”.

 

Riferimenti bibliografici

  • Buckels, E. E., Trapnell, P. D., e Paulhus, D. L. (2014). Trolls just want to have fun. Personality and Individual Differences67, 97–102.
  • Craker, N., e March, E. (2016). The dark side of Facebook®: The Dark Tetrad, negative social potency, and trolling behaviours. Personality and Individual Differences102, 79-84.
  • David-Ferdon, C., e Hertz, M. F. (2007). Electronic Media, Violence, and Adolescents: An Emerging Public Health Problem. Journal of Adolescent Health41(6), S1–S5.
  • Giovanni Ziccardi 2016L’odio online.Violenza verbale e ossessioni in rete. Raffaello Cortina Editori

 

Dott.ssa Carmen Guarino 

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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